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un coraggioso progetto sulla musica tradizionale vicentina
(di Fabrizio Corgnati)
La cantautrice siculo-veneta Patrizia Laquidara, insieme al fido gruppo degli Hotel Rif, realizza un
coraggioso progetto sulla musica tradizionale vicentina. Un disco insieme antico e moderno, territoriale e
deliziosamente internazionale.
Genere: Folk
Voto: 8/10
Ascolta anche: Fabrizio De Andrè
Viene fin troppo facile citare Fabrizio De Andrè, quando si parla di un disco basato sulle tradizioni musicali
popolari e dialettali. Ma noi non lo faremo, perché non è di Faber che parliamo oggi, bensì di Patrizia
Laquidara. Esatto, la stessa Patrizia Laquidara che una certa fama ha guadagnato con il suo pop
cantautorale ai confini con la bossa nova, con la sua partecipazione a Sanremo (ed annessi premi Mia
Martini ed Alex Baroni, due così…) nel 2003 e con la partecipazione alla colonna sonora del celeberrimo
"Manuale d'amore" dell'onnipresente Veronesi.
Proprio quella Patrizia Laquidara (insieme al gruppo degli Hotel Rif, con cui si esibisce fin dall'inizio della
sua carriera, all'arrangiatore ferrarese Alfonso Santimone e al poeta Enio Sartori, autore dei recitati) ha
deciso questa volta di realizzare un album davvero fuori dal coro. Anche per una come lei, abituata ad un
percorso lontano dai binari della consuetudine (in attesa del prossimo album che, tra non molto, dovrebbe
comunque riprendere il suo più usuale filo artistico): una vera e propria esplorazione della musica dell'alto
vicentino.
Non ci nascondiamo dietro a un dito: con l'orecchio assuefatto alle cadenze anglofone, il primo impatto con
un disco cantato interamente in dialetto veneto è spiazzante. Ma basta ascoltarlo un po' più
approfonditamente per rendersi conto che sì, questo disco ci piace proprio. Un po' perché è deliziosamente
anacronistico, un recupero di sonorità che sanno di tonalità seppia, discograficamente quasi un "suicidio":
quindi, merita di essere premiato. Un po' perché, al contrario, contiene un elemento di scottante modernità.
Meglio di chiunque altro può spiegarlo l'autrice: "Perchè ho voluto farlo? Perchè si sappia che in Veneto c'è
anche questo. In questo disco si parla di identità. Un'identità che non è fissa e immobile come vogliono
farci credere. Ma, anzi, un'identità che si sposta, viaggia. Perchè le culture popolari sono bastarde,
meticce, migranti, impure, cacciatrici di miti. Viaggiano, si mischiano, si abbracciano e fanno nascere nuove
culture, a volte anche con violenza. La lingua e la musica davvero contengono sempre e comunque le
tracce di altri popoli. Il noi e il voi non esiste. Esiste il noi."
Il Veneto narrato dalla Laquidara, pur nel suo fascino pacifico e riflessivo, ha l'effetto di un urlo liberatorio
contro quella tristemente fortunata scuola di pensiero che lo vorrebbe incatenare a terra di egoistica
chiusura e protezionismo culturale prima ancora che economico. Lo si intuisce fin dal titolo, "Il Canto
dell'Anguana", dedicato a una ninfa dal volto umano e corpo di serpente/draghessa che appare nelle
caverne e nei corsi d'acqua, la cui tradizione trascende i confini del Veneto per abbracciare i Balcani come
i Pirenei, il Mediterraneo come i paesi nordici.
Fabrizio Corgnati