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Patrizia Laquidara - Il canto dell'Anguana

(di Sergio Staffieri per accordo.it)

Fare un disco in dialetto, in Italia, è sempre difficile. Passare dalla tranquillità rassicurante del pop o rock italiano (per molti versi ormai uniforme a tanti standard esteri), al mettersi in gioco maggiormente con un progetto simile, richiede un bell’impegno. In Italia abbiamo avuto, dagli anni settanta in poi, tanti nomi anche famosi e seguiti volentieri dalla stampa, impegnati nel recupero della ‘musica popolare’, spesso unita al rock, però salvo eccezioni si è sempre trattato di artisti provenienti da determinate aree geografiche. E’ con piacere, quindi, che si accoglie l’uscita di Il canto dell’Anguana (Slang Records), pubblicato da Patrizia Laquidara con gli Hotel Rif (il disco è accreditato a entrambi i nomi), perché esce un po’ dalle vie battute di cui si diceva. Patrizia Laquidaria si è sempre dedicata alla musica extra-leggera, con vari progetti, studiandola seriamente (anche al CET di Mogol), e affiancandola alla passione per la musica mediterranea e sudamericana. Questo album è, in un certo senso, una raccolta di tutte queste influenze musicali; non è un disco ‘purista’, ortodosso, di musica regionale: i testi, in dialetto alto vicentino, sono d’autore, scritti cioè dal poeta Enio Sartori, a volte elaborati assieme, e lo stesso discorso vale per le musiche (spesso a firma di Alfonso Santimone degli El gallo rojo, quando non di Patrizia o del gruppo). Il senso è proprio qui, nella duplicità di una siciliana trasferitasi in Veneto, che rende omaggio alla sua terra d’origine e a quella che l’ha accolta, elaborando un disco sull’Anguana (donna-serpente dei racconti popolari che appare vicino ai luoghi dove c’è l’acqua e acquista poteri magici), chiamando a raccolta ospiti di varia provenienza (Alfio Antico, Puccio Castrogiovanni, Le Canterine del Feo) e imbastendo musiche che risentono di Mediterraneo ma cantate in dialetto altovicentino (ma c’è anche una filastrocca siciliana), suonate con una panoplia di strumenti come bombarda, oboe, flauti, gaita, fisarmonica, assieme a cavaquinho, maranzano (lo scacciapensieri) e tamburi a cornice oltre agli strumenti ‘canonici’ come chitarre, basso, batteria. Un po’ come si diceva per altre cose negli anni passati, essendo locali in ambito e proiezione globale. Il risultato è un disco molto bello, raffinato e viscerale al tempo stesso (anzi, una delle sue forze è proprio nell’alternare momenti diversi: la confusione quasi da taranta e quelli da danza di paese agli episodi più dolci, lenti e notturni). Uno dei modi di avvicinarvisi potrebbe essere proprio quello di superare lo scoglio linguistico considerando il dialetto come lingua altra, quale in effetti è (leggendo poi le traduzioni dei testi in italiano), godendosi l’ottima musica e lasciandosi rapire dalla voce di Patrizia Laquidara: sia quando canta come un’invasata, sia quando suadente e dolce, è di una bellezza arcana.
Sergio Staffieri

Hotel Rif