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Tra inquietudini e nostalgia
(di Alessandro Berni)
Dice Patrizia di questo disco "Perché ho voluto farlo? Prima di tutto perché volevo imprimere in un nastro
che rimarrà nel tempo una collaborazione preziosa con gli Hotel Rif, un gruppo di musicisti vicentini con cui
da 10 anni collaboro nell'ambito della musica popolare. Assieme a loro è nata l'idea di realizzare questo
progetto. Poi per fare un dono cantato alla mia terra d'adozione. Perché si sappia che in Veneto c'è anche
questo. In questo disco si parla di identità. Un'identità che non è fissa e immobile come vogliono farci
credere. Ma, anzi, un'identità che si sposta, viaggia. Perché le culture popolari sono bastarde, meticcie,
migranti, impure, cacciatrici di miti. Viaggiano, si mischiano, si abbracciano e fanno nascere nuove culture,
a volte anche con violenza. La lingua e la musica davvero contengono sempre e comunque le tracce di
altri popoli. Il noi e il voi non esiste. Esiste il noi "..." con caparbietà e tenacia ho messo tutto quanto avevo
a mia disposizione per portare a termine questo lavoro e per dare voce a questa figura così controversa,
cosi fatata e inquietante, creatura ai limiti, mito delle acque terrificante e seduttrice: l'anguana...".
Insomma il proprio io è un itinerario, un viaggio continuo nel quale - per dirla con Chesterton - non basta
nessuna casa terrena per guarirci dalla santa nostalgia che ci tormenta. E dove la figura anelata qui ritratta
racchiude a un tempo, in veste di espediente letterario, il bello di chi si ama e il suo esatto contrario. Da un
lato l'attrattiva per la sua natura misteriosa e dall'altro il volersene appropriare che ne viola la purezza e ne
rivela una seconda imprevista natura.
E' questa strana inquietudine che si rintraccia in questa nuova opera della musicista/cantante siculovicentina,
un disco di musica popolare secondo tutti gli intenti laddove i precedenti lavori coniugavano una
nevralgica anima folk con un tipico lessico d'autore e con accurate declinazioni pop del fado, della
bossanova e delle nostalgie brasiliane. E ad ogni buon conto in questo magnifico nuovo lavoro si ritrova
pienamente la fisicità musicale acquisita in precedenza dall'autrice con un'aggiunta nell'esplorazione
dell'area centroamericana e una momentanea messa a riposo di quella più intimamente e soffusamente
mediterranea (non compaiono le fioriture danzanti e madrigalistiche rintracciabili in "Le Rose" uno dei
capolavori tratti dal primo album musicato dall'elegante scrittura di Fausto Mesolella).
Così in "Ah Jente de la Me Tera" si svela un'inedita influenza ispanica che proietta l'ascoltatore in un
viaggio tra paesaggi da film western, scorribande in zone di confine e saghe che richiamano maschere di
zorro, il tutto trasfuso in una danza cantata e giocata tra vocalità sinuosa ed elegante e fascinazioni più
scapigliate e zingaresche come risulta evidente nella divertente chiosa recitativa.
Atmosfere da film e profumi centroamericani si riaffacciano nella leggiadria danzante di "Reina d'Ombrìa"
dove è notevole l'elegante esposizione iniziale di oboe/fisarmonica non più replicata nel resto del brano
Alessandro Berni